Roma – Lasciare un commento diffamatorio su Facebook? Da oggi si può fare senza grandi preoccupazioni (non che prima vi faceste molti scrupoli, NdR) grazie ad una recentissima sentenza che ha stabilito che la responsabilità ricadrà interamente sul negoziante che ha venduto il computer o un’apparecchiatura mobile alla persona che ha realizzato di fatto il villipendio, l’ingiuria o appunto la diffamazione. Alcuni soggetti sono stati tratti in giudizio in quanto, nella loro qualità di proprietari di negozi d’informatica per aver venduto il pc a clienti che successivamente hanno aperto un gruppo di discussione su Facebook omettendo di effettuare un controllo adeguato su alcuni messaggi di carattere diffamatorio, postati da iscritti sotto ad un post sulla bacheca del gruppo, in tal modo contribuendo all’offesa dell’onore e della reputazione (sì, lo sappiamo, ma quale reputazione? Sono tutti casta! A casa, etc. etc. NdR) di alcuni esponenti politici del PD particolarmente permalosi.
Negli ultimi tempi è continuata copiosa la produzione giurisprudenziale in materia di Internet: una sentenza di qualche anno fa aveva stabilito che la responsabilità non può essere solo di chi posta un contenuto diffamatorio ma anche degli amministratori della pagina che ospita il commento del leone da tastiera; successivamente, un’altra sentenza aveva stabilito che neanche il gestore della pagina è responsabile ma a pagarne le conseguenze doveva essere Mark Zuckerberg in persona, dato che ha inventato Facebook (sì, lo sappiamo, l’ha rubato a Severin, l’abbiamo visto tutti il film! NdR) che a sua volta ha schierato un plotone di avvocati che hanno ribaltato la situazione fino all’ultima sentenza di pochi giorni fa: scagionato Mark Zuckerberg, il responsabile del commento diffamatorio è il negoziante che ha venduto il pc a un disadattato che diffama la gente sui social.
Le motivazioni del G.U.P. sono chiare e non lasciano adito a nessuna interpretazione “I ‘Buongiornissimooo kaffèèèè sono solo la punta dell’iceberg. Non possiamo più permetterci di vendere un computer ad una persona di mezza età con questa disinvoltura per lo stesso motivo per cui a un bambino non può essere venduta una pistola semiautomatica, sebbene il bambino farebbe meno danni“.
Ovviamente non si è fatta attendere la risposta dei negozianti e dei grandi gruppi di commercio online che hanno già organizzato un class-action determinata a ribaltare nuovamente l’ultima sentenza, evidenziando una netta responsabilità dei giudici, come conferma il loro legale: “Come possiamo sapere come verrà utilizzato un pc? A breve terremo una manifestazione a Roma per chiedere a gran voce l’introduzione di una patente per Internet, obbligatoria dopo i 40 anni. In piazza non ci sarà nessuno, digiteremo i nostri slogan online da casa“.
Lattanzi Vittorio