VIENNA (RAI2) – Sta facendo molto discutere il libro fresco di stampa “Danke Rin Tin Tin” (“Grazie Rin Tin Tin”, ndr), racconto-confessione scritto a quattro zampe dall’ormai ventisettenne Reginald von Ravenhorst, noto ai più con il nome del personaggio che ha interpretato per anni, il commissario Rex.
Reginald ha deciso di rompere il muro del silenzio sulla sua vita lontana dagli schermi: “Hanno fatto credere che fossi morto, ma la verità è che sono stato messo da parte per placare le proteste degli animalisti, che non volevano che un cane della mia età fosse costretto a lavorare in televisione”. Da allora, per il povero von Ravenhorst è stato praticamente impossibile essere scritturato da qualsiasi emittente.
“Nessuno ha mai eletto gli animalisti a portavoce degli animali: non mi hanno mai chiesto se fossi o meno felice della mia vita. Se ne stavano lì davanti al set, ogni santo giorno, a ripetere i loro slogan privi di metrica e originalità, procurando a me e a tutta la troupe inutili sofferenze”.
Reginald amava la sua vita davanti ai riflettori (“Ogni tanto ricevevo dei wurstel di nascosto e mi lasciavano sempre sniffare la cocaina avanzata”) e senza un contratto televisivo è stato costretto ad arrabattarsi per sbarcare il lunario: “Non so fare altro che il mio lavoro e per pagare la mia dipendenza da cocaina sono stato costretto a fare cose indicibili, tra cui lo spin doctor di Roberto Fiore. In cinque anni ho ricevuto una sola proposta di lavoro in TV, ma era Masterchef Cina e il mio agente mi ha sconsigliato di partecipare”.
Poi, improvvisamente, sembrava essere arrivata la svolta: “Quando Abel Ferrara mi ha proposto un ruolo nel suo film ‘Go go tales’ pensavo che le cose si stessero rimettendo nel verso giusto, ma ho scoperto che avrei dovuto limonare con Asia Argento, così rifiutai la parte: avevo ancora un briciolo dignità”.
Von Ravenhorst affronta anche il tema delle molestie nel mondo dello spettacolo: “Francamente non capisco tutto questo clamore. Io, durante le riprese, ho sempre strusciato il mio pisello su ogni cosa mi capitasse a tiro, senza che nessuno avesse da ridire: una gamba, una poltrona, una ciabatta, un cadavere. E lo facevo davanti a tutti. Non li costringevo a restare lì a guardarmi mentre lo facevo: era una loro scelta. I miei colleghi ridevano e poi mi davano un wurstel”.
Oggi, Von Ravenhorst continua ad arrangiarsi, per arrivare a fine giornata. “Continuo ogni giorno a risolvere casi. Il mio fiuto è ancora quello di un tempo, quindi mi apposto dietro un vicolo e appena noto qualcosa di strano mi metto ad abbaiare a più non posso. Solo che nessuno mi porta un wurstel e di solito ricevo un sacco di legnate sui denti. A volte, se sono fortunato, riesco a mettere in fuga qualche spaccino e a strappargli una dose di coca. Ma questa non è vita da cani!”
Tiziano Inferno