MILANO – Shock nel mondo dell’attivismo social dopo che Vanessa Bianchi, 28 anni, manifestante per l’inclusività, è stata avvistata per la prima volta con i capelli del suo colore naturale, un banale castano chiaro.
“È stato un trauma”, racconta la compagna di battaglie Giacom* F*rr*. “Ci sentivamo sui social ma quando l’ho vista alla manifestazione sembrava una testimone di Geova. Poi ha aperto bocca per parlare di microaggressioni e l’ho riconosciuta”.
Intervistata, la diretta interessata si difende: “Ho fatto una scelta ecosostenibile. Sapete quanti prodotti chimici servono per mantenere i capelli color unicorno vomitato? La mia è una scelta plasticofobica, decarbonizzata, eco-rivoluzionaria, idrosolidarista, bioascetica, antimineraria, decolonialista, biodegradazionista, ecosofista, crustaceocentrica, pachamamista, ossigenosobrista, biospiritualista e decrescista”.
Non tutti hanno preso bene la scelta della Bianchi. Sui social è stata accusata di “normalizzazione tossica” e di “tradimento cromatico”. Un gruppo di collaboratori ha organizzato un sit-in sotto casa sua, brandendo cartelli con scritto “Il castano è fascismo”.
“L’unica cosa che si è sciolta più velocemente dei ghiacciai è la sua credibilità”, ha tuonato un’attivista ambientalista con extension ricavate da bottiglie di plastica riciclata. “L’unica cosa che resta colorata è il suo curriculum vitae, dove il verde dell’ambientalismo si mescola armoniosamente con il rosso dei conti in banca”, conclude una ex collega con un sospiro rassegnato.
Le critiche sono arrivate anche da diverse frange dell’attivismo minoritario. Il Movimento Antiradicalismo Pigmentario (MARP) ha condannato la scelta di Vanessa come “un’involuzione cromatica pericolosa”, mentre i Neurodivergenti Veganoseparatisti (NVS) l’hanno accusata di “capellismo conformista”. Non sono mancati gli attacchi del Fronte Intersezionale Decoloniale Autoctono (FIDA), che ha definito la sua decisione “una chiara regressione al biocentrismo estetico dell’egemonia occidentale”.
Mattia F. Pappalardo