MILANO – Era una serata come tante per Alfredo Attaccabrighe, poliziotto 27enne, passata a pattugliare alcune zone del capoluogo lombardo: soliti giri di ronda, qualche canna scroccata a degli spacciatori e tanti falsi allarmi.
Improvvisamente, nelle vicinanze del Parco della Guastalla, Attaccabrighe ha notato un giovane che indossava una di quelle felpe col cappuccio, mentre camminava con lo sguardo abbassato, cuffie nelle orecchie e le mani in tasca.
Insospettito, non tanto da questo modo di fare così spontaneo, ma dagli abiti indossati dal giovane passante e da una camminata forse da lui interpretata come sovversiva, Attaccabrighe ha bloccato la strada al ragazzo, non gli ha chiesto nemmeno i documenti e ha preso a massacrarlo violentemente con pugni e calci, per poi accorgersi di avere anche il manganello e infierire ulteriormente sul giovane che non si è nemmeno reso conto dell’accadauto.
I soccorsi sono giunti in ritardo e hanno potuto solo constatare la morte del giovane, mentre Attaccabrighe, come colto da una visione, ha deciso di recarsi immediatamente in caserma, dove ha raccontato tutto al suo superiore, Ardito De Bastonis, il quale gli ha consigliato di ritrattare la sua versione e incolpare le solite cose: la droga, gli estintori, oppure le sempreverdi scale.
Ma Attaccabrighe, come colto da orgoglio, pare abbia affermato: “Queste cose da lei elencate si sono già macchiate di troppi crimini, capitano. E per difenderle mi consegno spontaneamente!”. Il capitano, colpito da tanto coraggio, ha accolto la richiesta del suo sottoposto e, prima di accompagnarlo nella sua cella pare che gli abbia sussurrato: “Sono fiero di te giovanotto, hai salvato quelle scale”.
Marco Bressanini