“Individueremo nomi e cognomi di tutti i responsabili dei 43 morti nel crollo del ponte Morandi. E non gli faremo un cazzo!“. È un coro unanime quello delle istituzioni politiche e giudiziarie italiane, in vista del processo che a settembre vedrà salire sul banco degli imputati 59 tra top manager e tecnici delle società Autostrade e Spea, e dirigenti del ministero delle Infrastrutture e del Provveditorato.
Le accuse a vario titolo sono omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, crollo doloso, omissione d’atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro. Se le responsabilità dovessero essere accertate molti dei colpevoli rischierebbero severissime pene che vanno dall’andare a letto senza cena per due notti di seguito alla confisca di beni per un valore di 14 euro e cinquanta (pari a 33 centesimi per ogni vittima), fino all’interdizione per una settimana da tutte le piattaforme streaming come Netflix e Prime Video.
Accusa e difesa stanno già affilando i coltelli per quello che si profila come un processo talmente lungo che potrebbe vedere la fine dopo la morte di tutti gli imputati e dei loro discendenti fino alla settima generazione, nel 2187. Grazie a una corposa raccolta di documenti, intercettazioni e perizie che sottolineano una prassi comune nella manutenzione e controllo del ponte Morandi: risparmiare il più possibile, usare materiali scadenti e minimizzare i rischi, gli inquirenti si dichiarano intenzionati ad andare a fondo della questione: “Siamo pronti a tutto, persino a soluzioni estreme mai sperimentate, come far valere le leggi“.
Dal canto loro, gli avvocati difensori sono talmente sicuri dell’innocenza dei loro assistiti da aver chiesto il patteggiamento per Autostrade per l’Italia (ASPI): la società dovrebbe versare 27 milioni di euro allo Stato, soldi che – secondo i legali – dovrebbero essere sufficienti a far resuscitare le 43 vittime. Per quanto riguarda le responsabilità individuali, gli avvocati faranno appello alla tradizione garantista italiana: “Nelle democrazie compiute come la nostra, un imputato non è colpevole fino a che non viene dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che non ha abbastanza soldi per poterla fare franca. La maggior parte dei nostri assistiti appartiene all’elite economico finanziaria, condannarli sarebbe un’onta per il nostro sistema giudiziario. Si è mai visto un ricco andare in galera?“.
Gianni Zoccheddu