Napul’è (Milleculure) – “I francesi si credono di essere sempre gli innovatori, ma il nostro movimento è nato prima, ci siamo fatti conoscere col tempo e fatti rispettare da tutti, e ora, Capo, datemi due euro a piacere sennò in questa zona va a finire che la macchina ve la rovinano, se non fate l’offerta non assicuro nulla”, sono queste le parole colme di speranza di Genny O’Surdat*, capostipite dalla lunga schiera di gilet gialli napoletani che da secoli chiedono un obolo per i loro servigi a tutti gli avventori della splendida città partenopea.
“Non ci sentiamo rappresentati dallo Stato”, ammette Ciro O’Cric**, cognato in seconda battuta di Genny, “qui ci hanno abbandonato tutti, nessuno ci vuole bene, una volta mio padre è rimasto chiuso nell’autolavaggio e nessuno ci ha aiutato. Siamo stati costretti a scassinare tutto l’impianto e a portarci a casa le pompe, le casse e pure un paio di macchine parcheggiate lì. Ma lo facciamo solo perché nessuno ci considera, a proposito Dottò: ma st’intervista la pagate?”.
“L’idea per il nostro slogan “Due euro a piacer”, riprende il discorso Genny, “è nata dal bisnonno di mio nonno del mio bisnonno che, ai tempi, iniziò a lavorare fuori le arene dei gladiatori come parcheggiatore di bighe a soli due sesterzi. Un giorno capì che il cliente aveva bisogno di sentirsi parte di un progetto di redenzione della persona che si trovava di fronte: quindi puntò sul “piacere” nel dare un obolo a chi non aveva avuto i mezzi per eccellere. E funzionò. Ancora oggi appena dei poveri viaggiatori scendono dal treno alla stazione Centrale li subissiamo con proposte di accendini, posacenere, Arbre Magic scaduti da dieci anni, collanine, rolex falsi, mattoni veri, poster di Totò e Massimo Troisi ritratti a cena con Sofia Loren e Gigione, e se proprio non piace nulla, tiriamo fuori la possibilità di donarci due euro a piacere per farci prendere almeno un caffè, nulla di più”.
Ma cosa vuole una comunità così ampia di cugini e fratelli e cognati che fa lo stessa “fatica” in giro per la città, forse desidera solo la realizzazione nella vita e la conquista di un posto di lavoro? “Ma manc e can***”, afferma Ciro O’Shick****, cognato dell’altro Ciro, “un lavoro vero ci danneggerebbe soltanto. Se ci date una disoccupazione fittizia va buono, posso fare anche il parcheggiatore abusivo e assicurare alle mie due famiglie una vita dignitosa, ma un lavoro vero mi bloccherebbe troppo tempo durante la giornata, e le birre davanti al bar non si bevono certo da sole. Ecco: il reddito di cittadinanza è ottimo, considerando che mi farebbe lavorare solo otto ore alla settimana. Per il resto le occuperei nel parcheggio del supermercato e sarebbero contenti tutti”.
Quindi è una protesta che in realtà non è una protesta, ma solo un grido di emancipazione dallo Stato: “Certo, perché dello Stato non abbiamo bisogno tranne quando riusciamo a sciccare una pensione di invalidità facendo finta di essere ciechi”, ammette infine Antonio O’Milanes*****, “i gilet francesi devono capire che mettersi in piazza a protestare è ‘na strunzat. È meglio occupare le piazze per cercare di campare su chi ci dà i due euro di cui abbiamo sempre bisogno. Tutte quelle macchine hanno bisogno di un posto dove essere parcheggiate e noi siamo lì, a prenderci il vostro obolo per assicurarvi una serena serata. Se poi ve la fottono ovviamente non è colpa nostra, cioè voi vi fidate di gente che cammina con i giubbotti catarifrangenti e gli date pure dei soldi. Ma non stat buon?”.
*Chiamato così perché è riuscito a farsi congedare con disonore al terzo giorno di leva obbligatoria.
**Chiamato così perché dedito all’uso del cric per risolvere qualsivoglia questione che lo riguarda.
*** Traduzione: “Ma fosse l’ultimo mio pensiero prima di morire”.
****Chiamato così per il suo stile impeccabile in ogni occasione e per la sua totale inutilità sui campetti di calcetto, proprio come l’omonimo della Roma
*****Chiamato così perché, si dice, una volta sia arrivato fino a Milano col treno, ma solo per un errore.
Davide Paolino