MosCowBoy – “È pieno di gente che insinua che io sarei pazzo. Ma io non sono pazzo. Lo dicono pure le vocine nella mia testa: Vladimir, tu non sei pazzo!“.
È con queste lucide parole che lo Zar di tutte le Rus… ehm, il presidente della Russia, nonché ex presidente della Russia, nonché ex Primo Ministro della Federazione Russa, nonché ex presidente della Russia (roba da far concorrenza persino a Zaia e Formigoni) ha voluto fugare ogni dubbio sulle sue condizioni mentali, che quei rari analisti formatisi fuori dai social ritengono non essere più rassicuranti come negli anni trascorsi, quando il gesto più inconsulto che si concedeva il capo del Cremlino era al limite suggerire velatamente che lui non avrebbe poi avuto molte rimostranze se qualcuno, come regalo per il suo 54º compleanno, avesse trovato un modo non per forza gentile per zittire una giornalista che si occupava spesso di Cecenia e che stava diventando una fastidiosa spina nel culo.
“Dicono che sono pazzo solo perché sono entrato in Ucraina per difendere Donetsk e Lugansk e poi mi è scappata la mano e l’ho invasa tutta e ho minacciato la Terza Guerra Mondiale. È che sto passando un momento difficile. Mia madre ha complottato con mio zio per uccidere mio padre e poi se l’è pure sposato. Bombardare o non bombardare, questo non è mai stato un dilemma” ha ribadito Putin mentre vagava per i corridoi reggendo il teschio di Eltsin.
Molti, dopo un’invasione che ritenevano solo un bluff, si chiedono che fine abbia fatto il sottile giocatore di scacchi della politica contemporanea: “Volete sapere la verità? Sono sempre stato una scarpa a scacchi. Una volta un bambino ha aperto spostando un pedone in D-3 e mi ha mandato in crisi, e allora ho fatto l’unica mossa possibile: ho preso la scacchiera e l’ho lanciata sulla piazza Rossa, poi ho mandato il bambino in Siberia, lui e tutta la sua famiglia sino ai cognati di terzo grado e risalendo di quattro generazioni. Ho dovuto far disseppellire i suoi parenti da qui a Vladivostok. Perché credete che abbia fatto arrestare Kasparov? Per quello che diceva? Mica lo ascoltavo. No, solo perché a scacchi se la cava leggermente meglio di me!“.
Ma se l’ex tenente del colonnello del KGB, si chiedono gli esperti di geopolitica, non è pazzo, allora quale accidenti sarebbe il suo obiettivo bellico? “Eh, piacerebbe saperlo anche a me. Giuro che lo sapevo, poi ho visto una stagione di Ozark prima che mi bloccassero Netflix e non mi ricordo più una minchia. Alcuni mi accusano di voler ricostruire la gloriosa Unione Sovietica, altri di voler riconquistare l’espansione massima della Russia conquistata nel XIX secolo, ma io non sono un visionario dagli obiettivi utopistici, quello che voglio io è reale: ricostruire l’Impero Galattico sognato da lord Palpatine“.
Putin ha comunque annunciato che per offrire un segno di disponibilità ha rimosso dal suo entourage lo storico Ministro degli Esteri Lavrov e ha affidato l’incarico al suo più fidato cavallo, Soldatinov: “Sergej mi ha deluso, è andato in giro a dire che la nostra non era un’invasione. Cazzo, se non è un’invasione questa! La prossima volta perché sia più chiaro apro prima un evento su Facebook!” .
Vorremmo fermarci ancora a parlare con l’uomo che ha stroncato prontamente le speranze di un mondo che stava faticosamente uscendo da due anni di pandemia ma il tempo a nostra disposizione è finito. Prima, però, ci regala un ultimo gesto di cortesia: “La volete una tazza di te? No, eh? Fate bene, io non accetterei mai qualcosa offerto da me. Ma dove diavolo avrò messo il mio cappello di carta stagnola per impedire che leggano i miei pensieri e insieme captare Amazon Prime?“.
Lo lasciamo pagando il pegno pattuito per ottenere questo incontro riservato, ovvero un autografo di Cristiano Ronaldo ma spacciato per quello di Marco Travaglio, e promettendogli di portare i suoi saluti ai professori Canfora, Orsini e Povia. Quando ci voltiamo indietro per un’ultima occhiata, lo vediamo affacciato da una delle finestre del Cremlino mentre fa tintinnare tra loro tre bottigliette di vodka infilate tra le dita e urla “Americani, giochiamo a fare la guerra?“.
In un angolo, Soldatinov, seduto alla scrivania, sta inviando una mail al suo neo collega Luigi Di Maio sperando che riesca ad aprirla.
Augusto Rasori