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Ricerca rivela: trovato gene della memoria nel Dna dei ristoratori romani

Ricerca rivela:  trovato gene della memoria nel Dna dei ristoratori romani - Lercio

ROMA – Nella settimana dell’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina, un gruppo di ricercatori italiani (guidati dai professori associati Ezio D’Angelis ed Erasmo Mauro) ha finalmente risolto un problema che imbarazzava biologi e medici di tutto il Grande Raccordo Anulare: la localizzazione del gene responsabile della memoria a lunghissimo termine.

Lo studio, condotto su un campione di decine di migliaia di lavoratori della provincia romana, ha messo in evidenza quello che i ricercatori avevano soltanto ipotizzato a seguito di ragionamenti basati sul metodo logico-deduttivo. “Una deduzione della formula ‘alcuni camerieri dei ristoranti romani non usano il taccuino per prendere l’ordinazione’ dall’insieme ‘io questo non l’avevo ordinato’ – afferma Erasmo Mauro – è un ragionamento articolato in un numero finito di passi inferenziali che dà evidenza del fatto che la formula suddetta segue logicamente dall’insieme”.

L’analisi dei dati raccolti dal team di ricerca ha evidentemente portato alla luce un fattore discriminante non di poco conto, pare infatti che non tutti i ristoratori e i camerieri della città metropolitana romana fossero in possesso del gene della memoria a lungo termine, come ipotizzato in precedenza, ma esclusivamente quelli in cui l’ormai ex sindaco della Città, Ignazio Marino, era solito recarsi. “E’ questo il motivo per cui abbiamo deciso di denominare questo particolare gene con il nome di gene Marino. – ci rivela Ezio D’Angelis – Infatti nessun ristoratore o cameriere dei ristoranti frequentati da Alemanno ricordava alcun tipo di comanda, né scontrini o fatture di alcun genere, pare invece che sapessero alla perfezione il codice fiscale di diversi parenti  dello stesso Alemanno, inspiegabilmente”.

La scoperta ha sorpreso solo uno dei ricercatori, tale Marco T. Scanzi, che aveva dapprima lanciato il sasso sull’esistenza del gene Marino per poi nascondere la mano evocando una rivisitazione del Principio di falsificabilità di Karl Popper: “Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho sbagliato; un unico esperimento potrà dimostrare che ho ragione”.

 

Fabio Bellacicco (da un’idea di Stefano Pisani)

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