Milano – In questa puntata di cucine da incubo lo chef Cannavacciuolo corre in soccorso di Carlo, titolare di un modesto ristorante pizzeria al centro di Milano, all’interno della galleria più importante della città. Nel ristorante di Carlo da un po’ di tempo le cose non vanno più bene come una volta, come racconta lo stesso titolare: “All’inizio le cose andavano alla grande, ero sempre in tv e la mia assenza aveva delle ripercussioni molto positive sul ristorante, poi il lavoro in tv è andato a diminuire e la mia presenza al ristorante si è intensificata”.
Cannavacciuolo, come di consueto, entra nel ristorante a un’ora del cazzo, ordinando 16 portate tra cui la celebre pizza di Carlo, l’uovo con la patatina in busta, l’insalatina di mare dell’Adriatico e il cervo all’Armida con castagne e funghi. Mentre il caposala, spegnendosi una sigaretta sul braccio, controlla che tutto sia in ordine per il servizio, arriva il cameriere col primo piatto: “Ecco il suo cervo, testa di cazzo, con castagne e funghi porco@@io”. Cannavacciuolo assaggia e scuote la testa: “Siamo a Milano, ti affacci e vedi le Appi e mi presentate un cevvo congelato? Riportalo in cucina!”. È il turno dell’Insalata di mare: “Io proprio noccapisco, siamo a Milano, abbiamo il mare davanti e mi presentate il poppo congelato?”. Mentre in sottofondo si sentono grida in arabo provenienti dalla cucina che preoccupano non poco Cannavacciuolo.
Lo chef si rende subito conto delle criticità del locale: un proprietario ingombrante che non riesce a comunicare con lo staff, un cuoco israeliano e un pizzaiolo palestinese che si sono divisi la cucina, un cameriere con la sindrome di Tourette e un capo sala con tendenze autolesionistiche. Cannavacciuolo riuscirà a riportare lo spirito di squadra all’interno dello staff e a far quadrare i conti del locale?
Lo chef napoletano, appena finito di piazzare i rotoloni Regina pure nella cappa, decide di portare il signor Carlo a riflettere in un posto che apparentemente non c’entra un cazzo ma dove alla fine si troverà una morale. “Ho quello checcivvuole pe te” commenta soddisfatto Antonino mettendo Carlo di fronte a uno specchio. Come da copione, il titolare cerca subito di dare la colpa agli altri: “I vegani non mi odiano più, prima quando presidiavano giorno e notte la mia vetrina comunque qualcosa ordinavano, e poi lo staff tratta male i clienti”. Ma poi stando davanti allo specchio comincia a innervosirsi sino a sbroccare contro se stesso: “La colpa è tua, tutta tua!” urla indicandosi col dito allo specchio. “Vedi? Avevi bisogno di coffrontarti cotte stesso – interviene Cannavacciuolo – se hai capito che sei tu che stai succazzo a tutti ora devi fare comme ti dico”. “Condire gli agnelli da vivi?”, chiede Carlo. “No quello appattiene appassato”, risponde Antonino. Carlo capisce.
Intanto procedono i lavori per rendere più efficiente il locale. Nella cucina è stato fatto costruire un muro per tenere debitamente a distanza il cuoco israeliano e il pizzaiolo palestinese, è stato rinnovato il menù, reso più inclusivo per venire incontro al cameriere: i tonnarelli brutta troia e i paccheri vaffanculo eviteranno alla clientela fastidiose incomprensioni. Inoltre il nuovo menù avrà i bordi arrotondati per evitare al capo sala di infliggersi ferite. Ma la modifica sostanziale è nella nuova insegna, che ora recita “Da Cannavacciuolo”.
Il giorno dopo Carlo e tutto lo staff vengono invitati a visitare il locale rinnovato: vedere la nuova insegna e il nuovo menù fa scoppiare in lacrime per la commozione il proprietario e tutto il suo staff che ringraziano lo chef. Cannavacciuolo si congeda a modo suo, dopo l’ennesima impresa riuscita: “Carlo ora ti ho indicato la strada da peccorrere, fai del tuo megghio, Addios“.
Vittorio Lattanzi