ROMA- Giulio Cesare sarebbe stato pugnalato perché avrebbe chiesto a Bruto di utilizzare il tassametro. È questa la tesi a cui giunge lo storico Pasquale Diboni nel suo ultimo paper su Giulio Cesare, intitolato “È questa la tesi a cui giunge lo storico Pasquale Diboni nel suo ultimo paper su Giulio Cesare”.
L’ipotesi della congiura ordita da Gaio Cassio, Marco e Decimo Bruto appare per Diboni “decisamente inverosimile”, soprattutto alla luce delle testimonianze di due centurioni presenti durante l’assassinio: testimonianze che, secondo Diboni, la storiografia tradizionale non ha giudicato attendibili solo perché i due centurioni erano soliti sborrare sui busti del grande oratore Cicerone.
Secondo la ricostruzione elaborata dal professor Diboni sulla base del racconto dei centurioni, il 15 marzo del 44 a.C. Giulio Cesare sarebbe arrivato in Senato con il CXIV barrato; dopo aver dato via ai lavori, però, l’imperatore avrebbe iniziato ad accusare delle forti fitte all’intestino a causa di una colazione troppo abbondante e variegata, vedendosi quindi costretto a interrompere le attività e a pronunciare la celebre frase “Oblitus sum in domo imudium“.
Uscito dal senato, Cesare si sarebbe diretto verso la fila di taxi-bighe, venendo subito intercettato da un gruppetto di tassisti, tra cui suo figlio Bruto, fresco di licenza. “Posuit in operationem tassametrum“, avrebbe esclamato Cesare, scatenando l’immediata rabbia dei tassisti che, all’ulteriore richiesta di Cesare – “Non habeo argentum sed Mastercard” – si sarebbero avventati su di lui con pugnali, lance, spade, bastoni e busti del grande oratore Cicerone un po’ appiccicosi. Anche Bruto avrebbe infierito sul padre che, nell’atto di spirare, avrebbe esclamato la celebre frase: “Ahia“.
Alfonso Biondi