L’horror è da sempre uno dei generi cinematografici maggiormente soggetti alla pratica del remake. Ma non sempre gli adattamenti in chiave moderna riescono a mantenere la stessa tensione della versione originale. Ed è quello che è successo al remake del celebre The Ring, il film basato sulla serie di romanzi di Koji Suzuki che racconta del mistero intorno a una videocassetta maledetta che uccide in 7 giorni chiunque la guardi. La morte viene annunciata da una inquietante telefonata sul telefono fisso.
La sfida del regista italoamericano Chuck Sigira si è rivelata subito ardua, sia per la caratura del film che per la località scelta (l’Italia in miniatura), ma soprattutto per l’adattamento alle nuove tecnologie. Sarebbe stato infatti improponibile oggi l’uso del VHS o del telefono fisso. Perciò il principale problema affrontato dal regista è stato quello di rinnovare la trama con l’inserimento dei nuovi device. Ma è stata questa scelta che ha decretato l’insuccesso della pellicola, perché, per esempio, la cassetta, una volta trasformata in digitale, ha perso gran parte della sua letalità: la gente non muore più dopo una settimana, ma chi dopo un mese, chi dopo un anno e chi addirittura non riceve per niente la telefonata perché, sugli smartphone, viene etichettata come ‘sospetto spam’ e quindi il destinatario non risponde proprio.
Altra enorme difficoltà è stata quella di far uscire la protagonista Samara dagli schermi piatti moderni. La maggior parte delle volte la ragazzina riesce a mettere fuori solo una mano e giusto in qualche occasione l’intero braccio. Inoltre, per sfuggire allo sguardo letale non occorre più duplicare il video, ma basta farne il download e inoltrarlo. Insomma, un fiasco totale.
ATTENZIONE SPOILER!
Alla fine del film si registra solo un morto: di Covid.
Vittorio Lattanzi
(Quest’articolo è stato scritto anche grazie al sostegno di Box)