Quando hanno portato a termine l’eccezionale trapianto di cervello, i chirurghi della Wollstonecraft Clinic di Londra pensavano solo di contribuire ad un gigantesco passo avanti per la medicina, non aspettandosi certo una battaglia legale: eppure, da quando hanno annunciato al mondo il loro straordinario successo, si sono trovati ad incontrare più spesso gli avvocati che i malati.
Tutto è nato dal rifiuto della paziente di accettare che l’intervento venga definito un trapianto di cervello: “Rivendico solo la mia identità. Io sono Shelley Godwin, non Mary Percy!“.
La questione è più complessa di quanto si possa pensare: il cervello di Shelley, condannata da una grave malattia degenerativa, è stato trapiantato nel corpo di Mary, che aveva subito un ictus; ma, impegnati dal problema di fondere due diversi tratti di midollo spinale garantendo la funzionalità del sistema nervoso, i medici hanno trascurato di chiedersi chi sarebbe stata la paziente, se fosse sopravvissuta all’intervento.
Ora, però, il problema è ineludibile: il corpo, le impronte digitali, l’aspetto, il DNA sono quelli di Mary Percy, ma la personalità è quella di Shelley Godwin, che non accetta di essere legalmente un’altra persona e per questo ha trascinato i medici in Tribunale.
“Intendiamoci, sono contentissima di essere viva ed autonoma, anche se, per la verità, non mi è toccato poi ‘sto gran corpo. Avete visto che caviglie? Sembro un comodino. Però non ho nessuna intenzione di essere una persona diversa. Insomma, è stato un trapianto di corpo, non un trapianto di cervello, voglio solo che lo ammettano e mi consentano di essere Shelley con un altro aspetto“.
I medici però non sono d’accordo: “Il trapianto consiste nel sostituire una parte malfunzionante di un organismo con una invece funzionante prelevata da un altro organismo“, spiega il Dr. Victor Ingolstadt, a capo dell’équipe di chirurghi. “Quindi, visto che il cervello di Shelley è andato a sostituire quello di Mary che non funzionava più, è un trapianto di cervello“.
“Tecnicamente, le argomentazioni dei chirurghi sono definibili balle“, ribatte l’avvocato di Shelley. “L’organo va espiantato da un donatore in stato di morte cerebrale, ed era Mary ad essere in quella condizione, non la mia assistita. In realtà, la Wollstonecraft sta mantenendo un atteggiamento ostruzionistico solo perché non vuole ristampare tutto il materiale che celebra il rivoluzionario trapianto di cervello: migliaia di brochure, poster, articoli, un film diretto da Tom Six...”.
C’è anche un altro interesse, malignano nell’ambiente scientifico: “trapianto di cervello” suona assai meglio di “trapianto di corpo” (come confermano molti esperti di marketing), e l’équipe della Wollstonecraft non vorrebbe essere ancora scavalcata nella classifica delle innovazioni in campo medico dal team di chirurghi americani che ha messo a punto un rivoluzionario sistema per cancellare le rughe basato su carta velina e Vinavil.
La battaglia legale di Shelley si annuncia comunque appena agli inizi ed è destinata a coinvolgere oltre a medici e avvocati, anche filosofi, teologi, psicologi e impiegati dell’ufficio anagrafe, i quali hanno già minacciato di dichiarare sciopero se non verranno poste delle norme precise su a quale delle due personalità spetta chiedere la carta d’identità valida per l’espatrio.
Su una cosa però tutti si trovano d’accordo: nonostante si tratti di un tema che negli anni a venire avrà notevoli ripercussioni etiche e mediche, nemmeno in futuro si potrà trascurare l’importanza capitale, per la psiche di una persona, che riveste la forma della propria caviglia, al punto che Shelley Godwin non ha dubbi: “Sono pronta ad offrire sesso in cambio di un malleolo affusolato. Tanto il corpo è quello di Mary Percy!“