Wolfsburg – Ormai sembra proprio non esserci più pace per il gigante (d’argilla?) tedesco. Dopo lo scandalo delle emissioni truccate delle Golf diesel e di quelle vendute senza frecce esclusivamente sul mercato italiano, ora una nuova scioccante vicenda va ad aggravare ulteriormente l’immagine già seriamente incrinata del colosso della Bassa Sassonia. Secondo il mensile automobilistico prussiano “VierRäder“, la Volkswagen avrebbe impiegato per i propri crash-test non gli ormai usuali manichini ma dei rifugiati in fuga dai loro paesi e appena arrivati in Germania.
Intervistato da un giornalista della rivista, il responsabile tecnico dei test, Hans-Peter Stielike, ha in un primo momento negato nel modo più assoluto tale agghiacciante ipotesi ma poi, di fronte all’offerta di un vero caffè espresso, ha ceduto alla tentazione e spifferato ogni cosa. “Come tutti sanno una volta si usavano i cadaveri” – rivela Stielike – “ma in seguito alle pressioni della lobby delle cremazioni e dei fan dei film horror, che volevano vedere zombie senza graffi o lividi, abbiamo dovuto ripiegare sui manichini”.
Proprio l’elevato costo dei crash-test dummies, circa 150.000 euro l’uno (80 euro solo per le scarpe, frutto, ancora una volta, dell’eterna faida tra Adidas e Puma), ha spinto i ricercatori tedeschi a studiare soluzioni alternative. È Karl-Heinz Augenthaler, un collega di Stielike, a illustrarle in esclusiva in cambio di un babà al rhum: “Avevamo prima considerato l’idea di impiegare immigrati regolari, ma gli italiani sono troppo preziosi per la loro abilità con la pizza e il mandolino e i turchi hanno una testa talmente tosta che avrebbe vanificato l’attendibilità delle prove. Come se in Italia si usassero dei sardi, per darvi un’idea”.
Non è solo questione di spregio razziale. In precedenza i laboratori Volkswagen avevano effettuato alcuni test utilizzando anche volontari tedeschi, ma la loro reazione alle prove era persino inferiore a quella dei manichini. “Dopo il tremendo impatto i soggetti non avvertivano nemmeno un leggero giramento di capo!” – confessa un amareggiato Augenthaler – “Come abbiamo fatto a non vincere la Seconda Guerra Mondiale non l’ho ancora capito!”.
Ma poi, un giorno, guardando il sito di Der Spiegel, durante la pausa birra, ecco apparire la soluzione: migliaia di persone pronte a lasciare il loro paese in guerra per spingersi fino in Germania.
“Abbiamo temuto quando la Merkel ha detto alla bambina palestinese che la Germania non poteva accogliere tutti” – ci dice, Horst Rummenigge, uno dei dirigenti del settore contabile, che ha deciso di parlare in cambio della promessa di invito a una spaghettata – “Milioni di euro rischiavano di venire spesi in cuoio, metallo e plastica dei manichini quando c’era un intero tesoro che non vedeva l’ora di finire tra le nostre mani. Ci si era messa anche quella stronza di cameraman in Ungheria a tentare di salvarli impedendo loro di raggiungerci!”
Sono state però sufficienti le pressioni dell’allora amministratore delegato Martin Winterkorn (che avrebbe minacciato la cancelliera di diffondere le sue foto all’Oktoberfest) per far sì che la Germania cambiasse la propria politica di accoglienza e migliaia di migranti venissero allettati con la promessa di un giro su una Volkswagen nuova di zecca.
Difficile dire cosa succederà adesso. La ‘Ndrangheta ha già fatto sapere, tramite i suoi legali, che non rinuncerà tanto facilmente all’appalto per le pulizie dei pavimenti insanguinati dopo i crash-test, mentre si teme che lo scandalo possa estendersi anche ad altri paesi, compresa l’Italia, dove corre voce che per le prove d’impatto della Fiat Duna siano stati utilizzati degli operai in cassa integrazione, ma, dato che erano iscritti alla FIOM, della cosa non frega un cazzo a nessuno.
Augusto Rasori